Nella filmografia italiana sul ‘problema terrorismo’ si possono individuare, fra tutti i film reperibili, alcuni film che, anche solo ad una prima visione, lasciano negli occhi un qualcosa di simile l’uno con gli altri: film che non affrontano il problema di petto ma che lasciandolo magari quasi solo sullo sfondo, lo rendono uno dei protagonisti, e che in tal modo riflettono proprio anche sul controverso rapporto fra il cinema (di quegli anni) e la Storia (di quegli anni). I film sono: La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci, Tre fratelli (1980) di Francesco Rosi, Colpire al cuore (1982) di Gianni Amelio, Segreti segreti (1985) di Giuseppe Bertolucci.
Come si vede sono tutti film usciti all’inizio degli anni Ottanta, periodo durante il quale il terrorismo sembrava ormai sconfitto (o quasi) e si affacciava una nuova era, politica e sociale. E sono questi, del resto, i pochi titoli che in diversi segnalano come i più significativi sugli ‘anni di piombo’, senza però mai spiegare il motivo di questa loro presunta rilevanza. E’ indubbio che questi quattro film, rispetto a molti dei titoli di una ipotetica filmografia sul terrorismo italiano, appaiono da subito i più articolati e quindi anche i più problematici, perché sembrano mettere in discussione innanzitutto se stessi, la propria natura cinematografica ed estetica. Pur in maniera diversa, infatti, questi quattro sguardi sulla realtà italiana dei primi anni Ottanta nascondono anche riflessioni precise sulla loro natura; nascondono, cioè, un modo di interrogarsi sulla forma da dare al proprio sguardo, sulla prospettiva da assumere, il punto di vista da cui guardare.
Non è questo il luogo di proporre un’anali accurata di questi film, ma piuttosto quelli di interrogarli a partire da un punto di vista storico.
La ricerca storica tradizionale interroga il terrorismo fondamentalmente da due punti di vista: da una parte ne ricerca le radici storiche, scegliendo di analizzare in termini storiografici tutta la crisi sociale, culturale, politica ed economica che investe l’Italia negli anni ’70, per ricercarvi i fattori scatenanti la nascita delle organizzazioni terroriste. Dall’altro lato, nella forma della ricerca orale, si cerca, interrogando i terroristi stessi, di ricostruire le storie di vita dei militanti e di ricercare nella loro memoria altre ragioni ed un altro punto di vista sul fenomeno. Il grande cambiamento sociale, politico, economico e culturale che prende luogo in Italia a partire dai primi anni ’80, la svolta, cioè, del nuovo decennio, è da entrambi i metodi di ricerca visto come la risultante di altri fattori, che magari contribuiscono alla perdita di efficacia del terrorismo ma che non sembrano molto legati al terrorismo stesso.
Soffermandosi invece proprio sui film scelti emerge da subito un diverso modo di guardare al proprio tempo e alla società nella Storia. Tutti e quattro i film, incentrati in un modo o in un altro sul biennio ‘80-’81 (anni chiave per capire il decennio dei ’70 che si chiude e quello degli ’80 che si apre), significativamente si interrogano non tanto sulle ‘diverse’ ragioni del terrorismo, quanto piuttosto sull’impatto del terrorismo sulla realtà sociale e sulle coscienze individuali. I film scelti, cioè, mentre portano avanti un discorso indiretto sul modo di ricostruire sullo schermo la realtà del proprio tempo, mettono in scena una realtà che non è quella del terrorismo ma che risulta pur sempre percorsa ed invasa dal problema del terrorismo.
Partendo, appunto, da questo modo di porsi nei confronti della realtà, che trova un’eco diretto nella caratterizzazione dei rapporti fra personaggi e mondo e fra i personaggi stessi, è possibile, cercando di ancorarsi alla ricerca storica, ricostruire un modo di sentire tipico di quegli anni, una sensibilità diffusa, che trova il suo cuore centrale nella percezione del mondo (sensibile e sociale) come fosse un qualcosa di magmatico, confuso, non chiaramente definibile. E i film scelti propongono proprio il terrorismo come chiave di volta di questa deflagrazione che investe la comprensibilità della realtà: è l’impatto del terrorismo - un impatto in primo luogo mediatico (ovvero il terrorismo come notizia e il ruolo dei media nella costruzione della realtà) – a far perdere al mondo le sue coordinate, a smarrire attori e spettatori in una realtà indistinta e senza chiari punti di riferimento.
Se si guarda all’immaginario collettivo come luogo di interazione fra la vita interiore dell’individuo, la sua coscienza, e la vita collettiva, sociale, storica, come un qualcosa, cioè, che si fa e si forma a partire dalla vita interiore degli individui -, è possibile leggere in questa confusione interna al soggetto, in questa sua incapacità di capire il mondo che lo circonda, e quindi anche di capirsi, un momento forte nel processo, centrale in quegli anni, di ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato. E’ proprio a partire dal quello che emerge da questi film che si può ipotizzare che la perdita del senso storico, quell’impossibilità di capirsi in relazione al proprio tempo, abbia una rilevanza storica, come momento forte non solo nel rapporto del soggetto con se stesso, ma anche nel rapporto fra soggetto e società, fra l’io e gli altri. Dall’analisi dei film infatti, a questo proposito, emerge anche una rappresentazione dell’universo sociale e dei rapporti interpersonali che vede nel sospetto e nella finzione, nella menzogna (o in termini più figurativi nella maschera) la propria chiave di volta.
E’ anche grazie a questo ulteriore aspetto che, tornando a porre lo sguardo sulla ricerca storica, si capisce meglio in che modo i film scelti utilizzino il terrorismo per leggere la società di quegli anni e il cambiamento storico e sociale che stava avendo luogo: il cinema, cioè, sembra dirci che il terrorismo ha mandato in crisi la possibilità di trasmettere una memoria storica certa e definita, di trovare in questo passaggio di memorie un momento fondamentale nel rapporto fra generazioni diverse. E questo ha voluto dire mettere in discussione anche una coscienza storica che è in primo luogo capacità di capirsi come parte della Storia, immersi in un presente che nel suo scorrere si fa passato e diventa Storia. E’ in questo senso che tutti e quattro i film mettono in scena, in un’ambientazione figurativamente calata nel rapido cambiamento di stagione ed in un paesaggio autunnale, la fine di un mondo, ed un lento e misterioso scivolare verso un qualcosa percepito come altro, diverso. Insomma, i film scelti leggono questo passaggio epocale verso un altro mondo alla luce del terrorismo, presentandoci il terrorismo come un momento di catastrofe che conduce verso una diversa socialità ed un diverso senso storico individuale; come a dire che la svolta degli anni Ottanta è preparata soprattutto da questa disposizione profonda ad accettare la finzione e la soddisfazione personale come unica ancora di salvezza in un panorama indistinto di riferimento. Ed è qui, in breve, che sta la fecondità dell’utilizzo del cinema nella ricerca storiografica: esso ci permette di cambiare la prospettiva di sguardo sul quadro storico preso in esame, ci offre un punto di vista altro che rovescia l’analisi tradizionale e ci permette di vedere le cose sotto un’altra luce. Perché è guardando agli atteggiamenti mentali di chi vive la Storia che è possibile ricostruire ciò che gli storici chiamano ‘mentalità collettiva’, che non è un qualcosa di esterno che preesiste al soggetto e gli si sovrappone, quanto piuttosto un qualcosa che nasce proprio dal lavoro inconscio interno al soggetto, e che ‘riversato’ nel sociale torna ad abitare il soggetto stesso nelle vesti di ‘mentalità collettiva’.
STRUEGNU
Come si vede sono tutti film usciti all’inizio degli anni Ottanta, periodo durante il quale il terrorismo sembrava ormai sconfitto (o quasi) e si affacciava una nuova era, politica e sociale. E sono questi, del resto, i pochi titoli che in diversi segnalano come i più significativi sugli ‘anni di piombo’, senza però mai spiegare il motivo di questa loro presunta rilevanza. E’ indubbio che questi quattro film, rispetto a molti dei titoli di una ipotetica filmografia sul terrorismo italiano, appaiono da subito i più articolati e quindi anche i più problematici, perché sembrano mettere in discussione innanzitutto se stessi, la propria natura cinematografica ed estetica. Pur in maniera diversa, infatti, questi quattro sguardi sulla realtà italiana dei primi anni Ottanta nascondono anche riflessioni precise sulla loro natura; nascondono, cioè, un modo di interrogarsi sulla forma da dare al proprio sguardo, sulla prospettiva da assumere, il punto di vista da cui guardare.
Non è questo il luogo di proporre un’anali accurata di questi film, ma piuttosto quelli di interrogarli a partire da un punto di vista storico.
La ricerca storica tradizionale interroga il terrorismo fondamentalmente da due punti di vista: da una parte ne ricerca le radici storiche, scegliendo di analizzare in termini storiografici tutta la crisi sociale, culturale, politica ed economica che investe l’Italia negli anni ’70, per ricercarvi i fattori scatenanti la nascita delle organizzazioni terroriste. Dall’altro lato, nella forma della ricerca orale, si cerca, interrogando i terroristi stessi, di ricostruire le storie di vita dei militanti e di ricercare nella loro memoria altre ragioni ed un altro punto di vista sul fenomeno. Il grande cambiamento sociale, politico, economico e culturale che prende luogo in Italia a partire dai primi anni ’80, la svolta, cioè, del nuovo decennio, è da entrambi i metodi di ricerca visto come la risultante di altri fattori, che magari contribuiscono alla perdita di efficacia del terrorismo ma che non sembrano molto legati al terrorismo stesso.
Soffermandosi invece proprio sui film scelti emerge da subito un diverso modo di guardare al proprio tempo e alla società nella Storia. Tutti e quattro i film, incentrati in un modo o in un altro sul biennio ‘80-’81 (anni chiave per capire il decennio dei ’70 che si chiude e quello degli ’80 che si apre), significativamente si interrogano non tanto sulle ‘diverse’ ragioni del terrorismo, quanto piuttosto sull’impatto del terrorismo sulla realtà sociale e sulle coscienze individuali. I film scelti, cioè, mentre portano avanti un discorso indiretto sul modo di ricostruire sullo schermo la realtà del proprio tempo, mettono in scena una realtà che non è quella del terrorismo ma che risulta pur sempre percorsa ed invasa dal problema del terrorismo.
Partendo, appunto, da questo modo di porsi nei confronti della realtà, che trova un’eco diretto nella caratterizzazione dei rapporti fra personaggi e mondo e fra i personaggi stessi, è possibile, cercando di ancorarsi alla ricerca storica, ricostruire un modo di sentire tipico di quegli anni, una sensibilità diffusa, che trova il suo cuore centrale nella percezione del mondo (sensibile e sociale) come fosse un qualcosa di magmatico, confuso, non chiaramente definibile. E i film scelti propongono proprio il terrorismo come chiave di volta di questa deflagrazione che investe la comprensibilità della realtà: è l’impatto del terrorismo - un impatto in primo luogo mediatico (ovvero il terrorismo come notizia e il ruolo dei media nella costruzione della realtà) – a far perdere al mondo le sue coordinate, a smarrire attori e spettatori in una realtà indistinta e senza chiari punti di riferimento.
Se si guarda all’immaginario collettivo come luogo di interazione fra la vita interiore dell’individuo, la sua coscienza, e la vita collettiva, sociale, storica, come un qualcosa, cioè, che si fa e si forma a partire dalla vita interiore degli individui -, è possibile leggere in questa confusione interna al soggetto, in questa sua incapacità di capire il mondo che lo circonda, e quindi anche di capirsi, un momento forte nel processo, centrale in quegli anni, di ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato. E’ proprio a partire dal quello che emerge da questi film che si può ipotizzare che la perdita del senso storico, quell’impossibilità di capirsi in relazione al proprio tempo, abbia una rilevanza storica, come momento forte non solo nel rapporto del soggetto con se stesso, ma anche nel rapporto fra soggetto e società, fra l’io e gli altri. Dall’analisi dei film infatti, a questo proposito, emerge anche una rappresentazione dell’universo sociale e dei rapporti interpersonali che vede nel sospetto e nella finzione, nella menzogna (o in termini più figurativi nella maschera) la propria chiave di volta.
E’ anche grazie a questo ulteriore aspetto che, tornando a porre lo sguardo sulla ricerca storica, si capisce meglio in che modo i film scelti utilizzino il terrorismo per leggere la società di quegli anni e il cambiamento storico e sociale che stava avendo luogo: il cinema, cioè, sembra dirci che il terrorismo ha mandato in crisi la possibilità di trasmettere una memoria storica certa e definita, di trovare in questo passaggio di memorie un momento fondamentale nel rapporto fra generazioni diverse. E questo ha voluto dire mettere in discussione anche una coscienza storica che è in primo luogo capacità di capirsi come parte della Storia, immersi in un presente che nel suo scorrere si fa passato e diventa Storia. E’ in questo senso che tutti e quattro i film mettono in scena, in un’ambientazione figurativamente calata nel rapido cambiamento di stagione ed in un paesaggio autunnale, la fine di un mondo, ed un lento e misterioso scivolare verso un qualcosa percepito come altro, diverso. Insomma, i film scelti leggono questo passaggio epocale verso un altro mondo alla luce del terrorismo, presentandoci il terrorismo come un momento di catastrofe che conduce verso una diversa socialità ed un diverso senso storico individuale; come a dire che la svolta degli anni Ottanta è preparata soprattutto da questa disposizione profonda ad accettare la finzione e la soddisfazione personale come unica ancora di salvezza in un panorama indistinto di riferimento. Ed è qui, in breve, che sta la fecondità dell’utilizzo del cinema nella ricerca storiografica: esso ci permette di cambiare la prospettiva di sguardo sul quadro storico preso in esame, ci offre un punto di vista altro che rovescia l’analisi tradizionale e ci permette di vedere le cose sotto un’altra luce. Perché è guardando agli atteggiamenti mentali di chi vive la Storia che è possibile ricostruire ciò che gli storici chiamano ‘mentalità collettiva’, che non è un qualcosa di esterno che preesiste al soggetto e gli si sovrappone, quanto piuttosto un qualcosa che nasce proprio dal lavoro inconscio interno al soggetto, e che ‘riversato’ nel sociale torna ad abitare il soggetto stesso nelle vesti di ‘mentalità collettiva’.
STRUEGNU