venerdì 21 maggio 2010

LEGGE VALPREDA




Pietro Valpreda nasce a Milano nel 1933. Dai primi anni ’60 frequenta gli ambienti anarchici a Milano, a Roma, dove lo porta la sua professione di ballerino nei teatri di rivista. Intorno al ’68 dà vita, con altri più giovani compagni, ad un gruppo anarchico, scegliendo come nome la data dell’inizio del movimento di lotta francese: il 22 marzo. Il gruppo è caratterizzato da posizioni spacca-tutto e da un linguaggio incendiario.
Il 12 dicembre 1969 Valpreda è a casa della sua prozia Rachele Torri e vi rimane tutto il giorno, ed anche i successivi, febbricitante. Non ha piazzato lui la bomba nella Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana. Non ha fatto niente, perché è rimasto tutto il giorno chiuso in casa. Ma il 15 dicembre, mentre si reca in Tribunale per una piccola pendenza politica, viene arrestato. E lì inizia un vero e proprio calvario, che durerà tre anni, ne segnerà la vita e lo trasformerà nell’anarchico più famoso in Italia.
Valpreda è perduto. La furia della belva umana (“Corriere d’informazione”), L’anarchico Valpreda arrestato per concorso nella strage di Milano (“Corriere della Sera), Arrestati gli assassini (Il Messaggero), Un anarchico arrestato per la strage (Il Resto del Carlino), Arrestato un comunista per la strage di Milano (Il Secolo d’Italia), Il mostro è un comunista anarchico ballerino di Canzonissima: arrestato (Roma). Sono questi alcuni dei titoli cubitali dei quotidiani del 17 dicembre.
Proprio lo stesso giorno i militanti anarchici milanesi convocano una conferenza-stampa nello scantinato alla Bovisa che ospita il circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa. “Valpreda è innocente, Pinelli è stato assassinato, la strage è di Stato” sostengono i compagni, certi – senza alcuna ombra di dubbio – dell’innocenza di Pietro. Certo, lui si era più volte comportato come “un pirla”, come lo aveva definito Pinelli (assassinato in questura due notti prima della conferenza-stampa) con quel suo minacciare verbalmente “bombe, sangue, anarchia”. Ma tra il dire e il fare… Qui si è davanti ad un gioco molto più grosso, nel quale devono essere coinvolti, e ai massimi livelli, lo Stato e i fascisti.
I pochi giornalisti presenti ascoltano, prendono appunti. Ma non danno credito a quel pugno di anarchici, preferendo far del colore sulle nebbie della periferia, sullo scantinato visto come “un covo”. Farneticante conferenza-stampa al Circolo Ponte della Ghisolfa. Nessuna recriminazione fra gli anarchici. Titola il giorno dopo il “Corriere della Sera”.
Inizia proprio da quella conferenza-stampa la battaglia di giustizia e verità che progressivamente si estende alla sinistra extra-parlamentare, poi a quella parlamentare fino ad abbracciare, tre anni dopo, ampi settori della società. Nel nome di Valpreda (e dei suoi co-imputati, e di Pinelli, e dei tanti compagni caduti in quegli anni sotto il piombo poliziesco o in imboscate fasciste) si sviluppa la più vasta mobilitazione popolare nell’Italia del dopoguerra: migliaia di iniziative, una grande tensione, una campagna di contro-informazione che si sviluppa capillarmente un po’ ovunque.
Si arriva nel ’72 (dopo che Valpreda è stato candidato-protesta nelle liste elettorali de “Il Manifesto”) all’approvazione da parte del Parlamento di una legge appositamente promulgata per permettere la scarcerazione di Valpreda, vissuta come un’ingiustizia bruciante da troppe persone. Quella legge, passata alla storia come “legge Valpreda”, abroga la norma precedentemente in vigore, secondo la quale un imputato per gravissimi reati (tra cui, la strage) non poteva essere scarcerato fino ad una sentenza di assoluzione. Con la nuova legge, invece, la scarcerazione anche in quei casi è possibile. E così Pietro può uscire, salutato da festosi articoli di gran parte dei mass-media, compresi quelli che ne avevano accompagnato l’arresto con complimenti tipo “mostro”, “assassino”, “belva”.


BIGHOUSE

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